Mi piace ammirare Torino dall’alto. Amo salire al monte dei Cappuccini o a Villa della Regina, percorrere quelle brevissime distanze dal centro per ritrovare la città tutta intera sotto i miei occhi, in un abbraccio reciproco che mi riempie di positività (e di un pizzico di orgoglio sabaudo…ma quanto è bella? Non mi stancherò mai di ripeterlo).
Mi piace però anche ammirare Torino dal basso. Girovagare con il naso all’insù, fra l’incuriosito, lo stupito e lo sbadato, è una delle mie attività preferite. E quante cose si scoprono, volgendo gli occhi verso l’alto. Palazzi eleganti che si perdono nel blu del cielo, abbaini alla foggia di Parigi che accarezzano le nuvole, e cupole svettanti. Tante cupole meravigliose, tonde ed eleganti, capolavori di architettura che si susseguono nel profilo della città come capitoli di mattoni che narrano il suo passato di capitale sabauda. Un itinerario storico insolito e affascinante da vedere e rivedere.
Gran Madre di Dio
Sembra quasi impossibile che, fino a 200 anni fa, il paesaggio di Torino non aveva la sua Gran Madre e la sua inconfondibile cupola. La chiesa che veglia piazza Vittorio dall’altra sponda del Po, da cui è collegata attraverso il ponte fatto erigere da Napoleone Bonaparte, è stata infatti costruita fra il 1818 e il 1831, con l’intento di celebrare il ritorno di Vittorio Emanuele I di Savoia dopo la – travagliata – parentesi di dominio francese. L’opera fu commissionata dall’amministrazione cittadina all’architetto Ferdinando Bonsignore. L’intento celebrativo è ben noto e dichiarato: basta guardare la scritta che troneggia sul pronao dell’insolita chiesa, più simile ad un tempio pagano che ad un edificio cristiano, che recita «ORDO POPVLVSQVE TAVRINVS OB ADVENTVM REGIS» («La nobiltà e il popolo di Torino per il ritorno del re»). Entrando, si viene colpiti dalla pianta circolare e dalla semplicità degli ambienti, austeri e misurati rispetto ai trionfi barocchi di altre chiese torinesi. Alzando gli occhi, ecco l’interno della cupola, una calotta a cassettoni in calcestruzzo considerata una delle massime espressioni dell’architettura del periodo neoclassico nel Piemonte, con richiami a quella del Pantheon di Roma.
E proprio le forme insolite, il colonnato, la lunga scalinata, l’inconsueto nome, la femminea “rotondità”, hanno scatenato la fantasia di qualche autore dedito alla magia che ha connesso questo luogo ad un antico culto di Iside (Torino e l’Egitto, una lunga storia d’amore!) nonché alla leggenda del Graal. Dando le spalle all’ingresso, osservate le due statue, soffermandovi su quella di sinistra. Noterete che la figura rappresentata, la personificazione della Fede, regge un misterioso calice. Che sia proprio il Santo Graal, e che sia proprio a Torino? A noi torinesi piace pensarlo.
Chiesa San Lorenzo
Quanti torinesi sanno che, poco prima della cancellata di Palazzo Reale sul lato nord-ovest di piazza Castello, c’è l’ingresso di una chiesa, anzi, di una real chiesa di casa Savoia? Non vedo molte mani alzate, cari lettori sabaudi. Siete parzialmente scusati per la svista: la chiesa in questione, dedicata a San Lorenzo, è sprovvista di facciata e passa quasi inosservata. Ciò che non passa inosservata è invece la sua cupola, una delle più belle dell’intera città. La centralissima chiesa prende il nome dal santo commemorato il giorno di un’importante vittoria per la casata dei Savoia, la battaglia di San Quintino. Correva l’anno 1557: il 10 agosto, Emanuele Filiberto duca di Savoia ed il cugino alleato Filippo II di Spagna sconfissero l’esercito francese dando il via ad un nuovo corso per la storia e l’assetto europeo dell’epoca. Volendo onorare la memoria di quel giorno, il duca fece ristrutturare una già esistente cappella dedicata alla Madonna del Presepe, diventata successivamente la cappella alla Madonna Addolorata, che ancora possiamo vedere quando varchiamo la porta d’ingresso dell’edificio. Ciò che viene dopo, entrando nella chiesa vera e propria, è un trionfo di stucchi, ori e marmi policromi, risultato dei lavori commissionati dai successori del duca al celebre architetto Guarino Guarini a metà del 1600, in piena epoca barocca.
Il Guarini, non solo architetto ma anche ecclesiastico e matematico, ha lasciato la sua impronta inconfondibile carica di misticismo su diverse opere torinesi, come Palazzo Carignano e la cappella della Sindone, recentemente liberata dalle impalcature dovute ai lavori post incendio del 1997 e di cui vi parlerò in un prossimo articolo. Alzate gli occhi e meravigliatevi: la cupola è costituita da otto costoloni, che slanciandosi a due a due tra i finestroni alla base del tamburo s’intersecano nel mezzo disegnando un motivo stellare, ricorrente negli edifici progettati dal Guarini così come il numero otto, simbolo dell’infinito. L’eccentrico disegno formato dal gioco di luci dato dai finestroni, anch’essi otto, danno l’impressione all’osservatore di scorgere dei visi demoniaci, ed è per questo che la cupola di San Lorenzo è conosciuta come quella della faccia del diavolo. Già: a Torino è impossibile scindere il sacro dal profano, la leggenda dalla verità.
Santuario della Consolata
Ci spostiamo di poco e raggiungiamo il Quadrilatero Romano, nucleo originario di Augusta Taurinorum. Qui, come adagiata ai resti di una porzione di torre incastonata nella cinta muraria romana, si erge nella sua bianca bellezza una delle chiese più amate dai torinesi: la chiesa di Santa Maria della Consolazione, nota a tutti come la Consolata, con la sua cupola principale attorniata da tante piccole cupole che la fanno assomigliare ad una chiesa orientale. Siamo al cospetto di un luogo di culto importantissimo per la storia della città, dove sono transitati duchi e re, santi sociali e gente comune. Soprattutto questi ultimi hanno donato al santuario migliaia di ex voto, testimonianze del passato che possiamo scrutare con curiosità ancora oggi, perdendoci nelle storie dei nostri avi concittadini e nelle raffigurazioni delle grazie ricevute. Proprio una leggenda legata ad un miracolo accaduto in epoca medievale è alla base del conferimento del titolo di basilica; si narra infatti che un cieco proveniente dalla Francia riacquistò la vista dopo l’apparizione della Madonna, che gli indicò dove ritrovare un’antica icona sacra nei sotterranei della chiesa.
L’edificio è un vero compendio di architettura torinese, essendo stato ampliato e rimaneggiato continuamente dalla sua fondazione – il nucleo originario, ora non più visibile se non per la torre campanaria esterna al fabbricato, risaliva nientemeno che al V secolo, quando San Massimo, primo vescovo della città, fece erigere qui una chiesetta dedicata a Sant’Andrea – sino ad epoche più vicine a noi. Il primo importante intervento fu eseguito nel 1678 da Guarini, incaricato dalla seconda Madama Reale, Giovanna Battista di Savoia-Nemours. Con Guarini, la pianta regolare precedente fu totalmente stravolta, a favore di un corpus ellittico in perfetto stile barocco. Arrivò poi Filippo Juvarra a mettere mani e firma sul secondo grande ampliamento verso la metà del 1700, e fu proprio l’architetto abate di origine siciliana a progettare la cupola sormontata da una lanterna, in modo da favorire la portata della luminosità all’interno. Infine, agli inizi del XX secolo ecco l’ultima imponente modifica ad opera di Carlo Ceppi, il quale fece diventare l’ingresso meridionale su piazza della Consolata quello principale, arricchendolo del pronao in stile neoclassico con colonne corinzie. Forse è proprio questo il segreto del fascino unico della Consolata, dato da una struttura anomala e composita, un mix di stili di grande suggestione.
Mausoleo della Bela Rosin
Il nostro piccolo tour alla scoperta delle cupole torinesi include una breve trasferta verso la periferia sud-ovest di Torino, per finire con il racconto di una storia d’amore che più sabauda non si può. Siamo nel quartiere Mirafiori, noto più per la Fiat che per bellezze storico-architettoniche. Ma forse non tutti sanno che qui , sulle rive del torrente Sangone, fino a qualche secolo fa c’era una maestosa residenza sabauda, andata ormai perduta. E la presenza dei Savoia a Mirafiori è ancora simboleggiata da una struttura particolare in strada Castello di Mirafiori 148/7, un tomba monumentale di un membro non ufficiale della famiglia reale anche se conosciutissimo. Trattasi di Rosa Vercellana, la Bela Rosin tanto amata dal primo re d’Italia Vittorio Emanuele II. Vi ho già parlato della loro contrastata relazione in diversi articoli del blog: Vittorio Emanuele conobbe Rosa quando lei aveva soli 14 anni e lui era già sposato con Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena. Il loro fu un rapporto intenso che durò per tutta la vita e che culminò con la nascita dei figli Vittoria ed Emanuele, a cui seguì il matrimonio morganatico (cioè senza effetti successori sui titoli legati alla corona).
Per la seconda moglie e per la loro progenie, Vittorio Emanuele II creò il titolo di conti di Mirafiori e di Fontanafredda, tenuta nelle Langhe dove il figlio Emanuele diede l’impulso per la fondazione della grande azienda vitivinicola esistente ancora oggi. Mirafiori invece fu il luogo scelto da Emanuele e la sorella per far costruire la dimora eterna della madre, che non poteva essere sepolta insieme al marito al Pantheon di Roma, dove riposano i monarchi d’Italia. Se la Rosina non poteva andare al Pantheon, il Pantheon doveva dunque andare alla Rosina: nel 1886 i figli affidarono all’architetto Angelo Demezzi il progetto per il mausoleo materno dando istruzioni precise. L’edificio doveva ricalcare le sembianze del monumento funebre paterno a Roma, stesso stile neoclassico, stesso colonnato, stessa cupola. E così fu. Il Mausoleo della Bela Rosin è una versione in miniatura del Pantheon romano, simbolo di un legame indissolubile fra moglie e marito. Attualmente, il Mausoleo è di proprietà del Comune di Torino che ne ha fatto un punto di prestito di libri e riviste del sistema di biblioteche civiche; la struttura non custodisce più le spoglie di Rosa e dei suoi discendenti, traslate al Cimitero Monumentale a causa di ripetuti atti di vandalismo. Vi consiglio una passeggiata nel parco dell’edificio, magari prendendo in prestito un bel libro da leggere seduti su una panchina, osservando la cupola verde acqua che si confonde con il cielo e ci parla d’amore.
[photo credits: Dire Fare Mole]