La prima parte dell’articolo con le prima tre principesse la trovate al link https://direfaremole.com/2019/10/23/9-principesse-per-9-residenze-la-storia-al-femminile-delle-residenze-sabaude-di-torino-e-dintorni-i-parte/
Palazzina di Caccia di Stupinigi | Giuseppina di Beauharnais Bonaparte (Martinica 1763 – Rueil Malmaison 1814)
Non ho mai nascosto il mio amore smisurato per Stupinigi, per una questione territoriale (è la Residenza più vicina a casa mia) e di affettività (è stata la prima Residenza che visitai da bambina). Non sono obiettiva quando scrivo di Stupinigi, lo so, ma c’è da dire una cosa: a livello architettonico è una delle Residenze più scenografiche che abbiamo in Piemonte, e forse proprio per questo motivo è stata spesso scenario sia di matrimoni regali – fra tutti, spiccano le nozze del futuro re d’Italia Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide d’Asburgo Lorena celebrate il 12 aprile 1842 – che di set cinematografici. Tante sono le donne legate alla Palazzina costruita da quel genio dello Juvarra nel pieno del trionfo del Barocco, con una sala da ballo che fa sognare qualsiasi ragazza di qualsiasi epoca. Ho scelto però di parlarvi di una donna molto anticonformista, libera e sensuale, che alloggiò a Stupinigi insieme al consorte. Napoleone Bonaparte non ha bisogno di presentazioni, ma forse vorrete conoscere meglio la bella Marie-Josèphe-Rose Tascher de La Pagerie alias Giuseppina di Beauharnais, la sua prima moglie.
Giuseppina era chiamata la bella creola visto il suo luogo di nascita esotico, la Martinica, isola delle Antille Francesi. Lì, nel cuore pulsante e assolato dei Caraibi, la ragazza crebbe libera nella piantagione di canna da zucchero dei genitori, arrivati dalla Francia per cercare fortuna. Proprio nella sua isola la giovane ricevette una profetica predizione da un’indovina, che le disse che avrebbe avuto “un ruolo più alto di una regina”. Così avvenne. Dopo un primo sfortunato matrimonio con Alessandro di Beauharnais, da cui nacquero i figli Eugene e Hortense, Giuseppina conobbe Napoleone in un salotto parigino; Bonaparte, ai tempi giovane generale già molto determinato e sicuro di sè, rimase folgorato da questa donna più grande di lui di sei anni, vedova e terribilmente affascinante. Le fece una corte serrata (con tanto di lettere infuocate a cui lei rispondeva con malcelata indifferenza) e, dopo essere divenuti amanti, arrivarono le sospirate nozze, una breve cerimonia civile avvenuta nella capitale francese il 9 marzo 1796. Giuseppina aveva trentatrè anni, Napoleone ventisette. Fu un’unione tranquilla e fedele? No, affatto. Giuseppina ebbe numerosi amanti, ai quali accordava spesso favori economici, ma ammirò sempre il marito riconoscendone l’audacia e il carisma fuori dal comune e vivendo con lui le sue vittorie e la sua scalata al potere, culminata nell’incoronazione a imperatore e imperatrice dei Francesi del 1804 a Notre Dame. Fu un anno più tardi, nella primavera del 1805, che la coppia giunse a Stupinigi, tappa intermedia verso Milano dove sarebbe avvenuta l’incoronazione di Napoleone come Re d’Italia.
Giuseppina e Napoleone abitarono con la loro corte in Palazzina per una decina di giorni, rendendola per un brevissimo lasso di tempo il centro dell’Impero con feste, ricevimenti e lussi. Come mai Stupinigi e non Torino? I motivi della scelta erano vari, dalla magnificenza scenica dell’edificio alla comodità della strada per raggiungere il centro della città. Secondo me la coppia imperiale non poteva concedersi soggiorno migliore! Il matrimonio era però già attraversato da parecchie nubi: anche l’imperatore aveva iniziato a intrattenere storie extra coniugali e l’età più “attempata” della sposa aveva fatto nascere dei dissapori in merito all’improbabilità dell’arrivo di un erede legittimo. La separazione definitiva fra Napoleone e la charmante Giuseppina fu infine decisa: nel 1810 vennero inoltrate le pratiche per l’annullamento delle nozze presso il tribunale ecclesiastico. Giuseppina si ritirò in campagna, a Rueil Malmaison, dove si dedicò alla coltivazione delle sue amate rose (dalle rose del suo giardino furono isolate la prima Rosa Tea e, successivamente, la Ibrida Perenne) e morì poco dopo, nel 1814. Bonaparte si risposò nel 1810 con Maria Luisa d’Asburgo, figlia dell’imperatore d’Austria Francesco II, per meri calcoli politici. Il resto, è Storia. Una curiosità: un’altra donna della vita di Napoleone visse per qualche periodo nella Palazzina di Caccia di Stupinigi. Quella donna è Paolina Bonaparte, la sorella prediletta, dotata anch’essa di fascino magnetico, amante dello sfarzo e della vita lussuosa. Paolina – di cui si ricorda la celebre statua del Canova che la ritrae seminuda nelle vesti di Venere – arrivò a Stupinigi insieme al marito Camillo Borghese, nominato dal cognato Governatore Generale del Piemonte nel 1808.
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Appartamenti Reali di Borgo Castello, Venaria Reale | Rosa Vercellana, la Bela Rosin (Nizza 1833 – Pisa 1885)
Se Stupinigi fu il palcoscenico delle sue prime nozze, Borgo Castello fu per antonomasia il nido d’amore che Vittorio Emanuele II scelse per colei che divenne la sua seconda moglie, Rosa Vercellana detta la Bela Rosin, popolana di origini astigiane. Questa deliziosa Residenza Reale incastonata fra i viali verde smeraldo del parco La Mandria è molto diversa rispetto alle altre, sontuose e solenni: l’edificio, infatti, non apparteneva alla corona bensì al patrimonio privato del sovrano, una casa (elegante) per una famiglia normale, luogo di protezione e di calore domestico. Io la adoro, e se non l’avete mai visitata coglietene l’occasione appena possibile perchè sarà come fare un piccolo (e piacevole) viaggio nella vita privata di una delle coppie più importanti della storia sabauda. Vittorio e Rosa sono stati una sorta di Romeo e Giulietta piemontesi; il loro fu un amore fra un uomo e una donna di due mondi diversi, ostacolato da chi li circondava – Cavour in primis – tormentato, avversato. A differenza dei piccioncini shakespeariani, però, gli innamorati nostrani hanno potuto gustare un lieto fine, vivendo uno accanto all’altra fino alla morte del re.
Come si conobbero il nobile Vittorio e la certamente non nobile Rosa in un periodo storico dove la frequentazione fra persone di ceti diversi era praticamente impensabile? Galeotta fu, pensate, un’altra Residenza Sabauda! Castello di Racconigi, 1847: la famiglia della ragazza viveva nei possedimenti del maniero sabaudo, dove si era trasferita da Nizza al seguito del capofamiglia Giovanni Battista Vercellana, militare di carriera nell’esercito di re Carlo Alberto e capo del presidio militare della tenuta. Durante uno dei suoi soggiorni a Racconigi, il giovane principe ereditario ventisettenne, sposato con Maria Adelaide e già padre di quattro figli, incrociò lo sguardo fiero della bella quattordicenne Rosa invaghendosene all’istante. Cosa successe dopo? Una escalation degna di una storia d’amore da romanzo rosa. Dapprima la relazione fu clandestina, anche se nota a tutti, e con il tempo, soprattutto dopo la prematura morte di Maria Adelaide nel 1855, divenne sempre più pubblica. Una volta salito al trono, Vittorio nominò la sua Rosina contessa di Mirafiori e Fontanafredda, titolo creato appositamente per lei, e decise di donarle il castello di Sommariva Perno nel cuneese; ma furono gli Appartamenti Reali di Borgo Castello il loro vero rifugio, la casa in cui il loro amore crebbe e la loro famiglia si formò.
Qui, a pochi passi dalla più aulica Reggia di Venaria, il re si sentiva un uomo normale, anzi viveva come un uomo normale, spogliandosi del suo lignaggio e assaporando una quotidianità semplice e calorosa insieme a Rosa e ai loro figli, Vittoria ed Emanuele; ai due bambini venne affidato il cognome Guerrieri, non potendo portare quello ufficiale del padre, e furono esclusi dalla legittima successione. Questo non impedì loro di crescere felici, circondati da un affetto autentico, da una vera famiglia. Emanuele in particolare è ricordato per il suo importante contributo all’espansione della produzione vinicola del Piemonte, attività che svolse soprattutto nella sua tenuta di Fontanafredda nella Langhe (attiva tuttora). Vittorio e la Bela Rosin sono stati per quasi tutta la vita una coppia di fatto: il matrimonio, seppur morganatico – ovvero senza diritti sulla corona – venne celebrato solo nel 1869 quando il re si ammalò. Morì qualche anno dopo, a Roma, nel 1878, con Rosa lontana che lo aspettava proprio qui, nel loro nido del cuore all’interno del parco verdeggiante.
https://www.lavenaria.it/it/esplora/castello-mandria/gli-appartamenti-reali
Palazzo Reale di Torino | Elena del Montenegro (Cettigne 1873 – Montpellier 1952)
Eccoci infine a Torino al cospetto di una vera “regina” di mattoni. Palazzo Vescovile, Palazzo Ducale, infine Palazzo Reale, il nome che ancora porta con sabauda eleganza nonostante il re non ci sia più da molto, molto tempo. La Residenza fra le Residenze, il vero centro del potere della dinastia Savoia nei secoli, culla della Storia e fulcro della leggendaria magia bianca di cui Torino si dice sia per metà ammantata (fugace inciso per chi non mastica esoterismo al sapore di gianduja: la cancellata di ingresso di Palazzo Reale pare sia il polo di energia positiva in contrapposizione al monumento ai caduti del Frejus nella poco lontana piazza Statuto, il polo di energia negativa della città). Riedificato sull’antica sede vescovile medievale, il Palazzo è stato progettato a cavallo fra il 1500 e il 1600 dall’archistar Ascanio Vitozzi; non fatevi ingannare dall’aspetto austero e regolare, basta varcare la sua soglia per immergersi in un sogno barocco fatto di oro e cremisi, un compendio di arte trionfale come si confà a una casa di re. E di regine, ovviamente! Di duchesse, principesse e regine in questi corridoi luminosi ne sono passate tante ma una in particolare ha lasciato la sua impronta, soprattutto in un appartamento a piano terra a lei dedicato, dieci stanze di grande bellezza: Elena del Montenegro.
Elena si chiamava Jelena Petrović-Njegoš ed era figlia del sovrano del Montenegro Nicola I. La principessa del piccolo regno slavo era cresciuta con umiltà amando la sua famiglia, l’arte e la poesia, con una predisposizione spiccata all’amore e la cura verso il prossimo; caratteristiche che piacquero alla regina d’Italia Margherita in spasmodica ricerca di una sposa per il suo unico figlio ed erede al trono, il futuro Vittorio Emanuele III, una consorte non consanguinea per rafforzare la stirpe reale (la maggior parte delle casate regnanti europee erano imparentate fra loro per politiche matrimoniali; come ben sappiamo i rapporti fra consanguinei, anche alla lontana, possono causare tare genetiche evidenti, due esempi sono l’emofilia diffusa in molti discendenti della regina Vittoria d’Inghilterra e il cosiddetto Mento Asburgico). Margherita organizzò un “incontro al buio” a Venezia in accordo con i genitori della ragazza e, nonostante la forzata spontaneità dell’appuntamento, la scintilla non tardò a scoccare per davvero: già, Elena e Vittorio Emanuele si innamorarono sul serio a discapito della notevole differenza d’altezza a favore della promessa sposa, 1.80 cm contro i soli 1.53 cm del principe sabaudo! Il matrimonio, celebrato a Roma il 24 ottobre 1896, fu una rara unione di reale sentimento fra reali, cosa all’epoca alquanto inconsueta. Elena e Vittorio erano due anime affini amanti della semplicità e condussero una vita di coppia tranquilla allietata dalla nascita di quattro figli, fra cui Umberto II, futuro ultimo re d’Italia fino al referendum del 2 giugno 1946.
L’attentato e la morte di Umberto I di Savoia padre di Vittorio Emanuele e la sua conseguente salita al trono con il nome di Vittorio Emanuele III arrivarono come un fulmine a ciel sereno, così come le successive travagliate vicende delle due Guerre Mondiali e la morte della figlia Mafalda nel campo di concentramento di Buchenwald, nel 1944. Ma l’amore era un cemento troppo forte e riuscì a tenerli uniti fino alla fine dei loro giorni, perchè solo la morte riuscì a spezzare questo matrimonio lungo più di 50 anni. Vittorio Emanuele III perì in esilio in Egitto nel 1947 ed Elena era lì con lui, sino al suo ultimo respiro. Dopo cinque anni si spense anche lei a Montpellier, in Francia, dove si era trasferita, perdendo la sua battaglia contro un tumore. Elena in vita si era spesa per il sostegno ai malati, lavorando come infermiera durante i conflitti mondiali e promuovendo raccolte fondi per gli ospedali. Anche per questo, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua scomparsa, il Ministero delle Comunicazioni ha emesso un francobollo commemorativo che la ritrae, associando la sua figura alla lotta contro il cancro.